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CLUB ANDARE IN GIRO

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" Pechino: impero, Mao, fast food" di Francesca Lombardi

Pubblicato da oleg su 15 Settembre 2011, 09:30am

Tags: #I Nostri Speciali

http://www.gazzettadiparma.it/mediagallery/foto/dett_articolo/1309789531020_0.jpgVicino a piazza Tiananmen, a Pechino, c'è un Mac Donald's. I clienti sono tutti sotto i trent'anni, hanno vestiti firmati da stilisti europei – gli abbinamenti un po' così - , nelle orecchie la musica dell'I-Pod. Ambiente di design, nessuno sputa. Eccola, la Cina di oggi, quella che somiglia al tutto uguale che avanza. Poi si passa all'ordinazione e quell'impressione si dissolve: le scritte sono solo in cinese. Nessun nugget, né chicken, nessuna salad, niente fries. Solo idiomi. Anche qui. Anche al Mac Donald's. Perché ok aprirsi al nuovo, ma con cautela culturale. Ché qui c'è un'identità di millenni da difendere. «Il fatto che nessuno parli il cinese – sorride Anna - ci fa sentire importanti». Anna si fa chiamare così perché il suo nome, per i turisti, è peggio di uno scioglilingua.

 

Velociraptor Pechino va veloce. Corrono le mode, sulla Wangfujing, la via dello shopping, corrono i prezzi della benzina, dei parcheggi e delle case, corrono anche gli stipendi. Ma lo fanno a modo loro: senza un'apparente coerenza, senza una logica. I marchi di abbigliamento occidentali, infatti, fanno a gara di visibilità sulle vetrine, anche se nessuno per le strade è vestito con gusto; per lo stesso lavoro ci può essere una disparità di guadagno fino a dieci volte, e se avere un'auto è costoso come ormai nel resto del mondo, a Pechino (Beijing) la macchina non è per tutti, e nemmeno per i più ricchi: ma per i più fortunati, estratti a sorteggio.

La città appare folle a partire dai numeri: 19 milioni di abitanti, per un italiano, sono difficili anche solo da immaginare, così come non è concepibile che una birra media costi un euro in pieno centro e sette nella Hou Hai Area, zona ricca di bar e pub non proprio in stile orientale. Come definire una metropoli sporca e allo stesso tempo pulita, una città che sputa, che si vende vendendo il passato ma che oggi si riconosce nello stadio olimpico «Nido di uccello», retrograda e innovativa? Pechino è un velociraptor: un veloce dinosauro.

 

Telecamere, impero e infrarossi

C'è l'Impero, nell'aria di Pechino. E la sua grandezza, maestosa. Fra grattacieli in costruzione - l'ultimo piano non è mai ultimo: una gru è sempre pronta ad aggiungerne uno - e store che propinano marchi occidentali, appare il passato. Colorato, orgoglioso e un po' enigmatico. Ogni colonna, ogni disegno, ogni idioma qui ha un significato preciso e insieme metafisico. Nulla esiste per caso, tutto è misticità.

Così, nella Città Proibita, residenza imperiale preclusa ai sudditi in cui vissero 24 imperatori, perfino le figure fantastiche sugli angoli rialzati del tetto che fissano le tegole rimandando a qualcos'altro. La fenice, che sta prima di tutti, rappresenta l'immortalità e l'imperatrice, il drago l'imperatore, il leone la fortuna, il leopardo caccia gli spiriti maligni, la tartaruga è in grado di far piovere e quindi di proteggere le strutture in legno dagli incendi. Il toro spegne il fuoco e la scimmia comunica messaggi e informazioni.

Fra animaletti simbolici e nomi altisonanti, come «la sala dell'armonia intermedia», «la sala della purezza celeste», «il palazzo dei fiori di pioggia» e «la sala della Grande Unione» che simboleggia l'armonia fra cielo e terra, rischia di girare un po' la testa. Ma la Cina è anche questo: fascino, misticismo esagerato, passato, e ordinata confusione.

Ci si abitua, ai numeri che giocano con le parole, le atmosfere e i colori per rimandare a un mondo antitetico a quello che noi conosciamo, dove armonia e spiritualità prevalgono e pervadono la quotidianità. Non ci si abitua alla commistione di questo mondo con quello turistico e più commerciale. Al fatto che il lungo corridoio del Palazzo d'Estate, uno dei quattro giardini classici più famosi della Cina costruito dall'imperatore Qianlong nel 1750 per sua madre affinché potesse meditare riparata dal sole, oggi sia una strada di turisti che camminano uno appiccicato all'altro e che tutto hanno tranne che il sapore di tranquillità. E che il Tempio dei Lama, uno dei maggiori templi lamaisti del Paese, veda mescolarsi fra loro devoti a Buddha che pregano, ognuno a suo modo, portando in dono lunghi incensi colorati, e bandierine di tour operator che portano in giro turisti assetati di scatti ricordo.

I cinesi, comunque, sembrano avvezzi al connubio presente-passato, e anche a quello commerciale - spirituale.

Se la Grande Muraglia, 90 km di distanza dal centro storico della capitale, diventa una movida di uomini e donne straniere eccitati all'idea di fotografare il punto più magico, per loro è sempre quella Grande Muraglia che porta con sé un passato glorioso, ma anche tragiche storie di uomini che per costruirla hanno perso la vita. Per i cinesi sembra non essere necessario creare il «clima» giusto per trasmettere un'emozione. Perché la disposizione ad andare oltre l'apparenza si porta dentro. E o si ha, o non si ha. Ed è una caratteristica individuale, non vendibile. Anche quando sono insieme, anche quando sono tanti, i cinesi mantengono sempre quell'aria di individui singoli, soli, desiderosi di guardare il mondo dalla propria, piccola, finestra.

Quelli che escono dal guscio, che si raccontano, si trovano nell'area 798, un'ex zona industriale a nord-est di Pechino riconvertita a dimora dell'arte. Qui si trovano per strada grandi installazioni di dinosauri rossi o di uomini in pigiama che prima lasciano il visitatore a bocca aperta, e poi lo immergono in un'atmosfera surreale, dinamica e stimolante che porta a visitare le tante gallerie e i tanti negozi artistici della zona. Qui c'è la Cina che si apre all'Europa non emulandola, ma mostrandosi per quella che è: nuova, sorprendente, che guarda al futuro. Lo dimostra un'opera d'arte multimediale di Li Hui's: una stanza buia, nera, in cui raggi laser rossi vengono proiettati su uno specchio che a sua volta li ritrasmette verso un'altra angolazione della stanza e del fumo rende la figura umana - al di là della provenienza geografica - impalpabile e precaria.

 

Nasilunghi

Ci chiamano «Nasilunghi», come appartenessimo a una stirpe mitologica, sulla scia dei Nibelunghi. Il significato non è negativo: è solo un nome, altisonante anche questo pur nella sua semplicità, per indicare gli occidentali. Che in effetti, come i Nibelunghi, in Cina non sono così facili da vedere. I cinesi di Pechino, di Shanghai e delle città più importanti sono abituati a vedere scorrazzare americani ed europei. Ma chi viene dai piccoli paesi, dalle città minori spesso non ha mai visto un «Nasolungo», e quando ci si trova faccia a faccia lo guarda con ammirazione e non riesce a staccare lo sguardo.

Nei luoghi più turistici, in quelle tappe obbligate di ogni tour di Pechino, è facile trovare turisti cinesi con l'obiettivo puntato sul turista occidentale ignaro, specie se giovane. Se qualcuno vi mostra la macchina fotografica, quindi, molto probabilmente vi starà chiedendo una foto, magari con tutta la famiglia al completo. Vietato rifiutare, obbligatorio sorridere a una cultura affascinante. ( Fonte: www.gazzettadiparma.it)

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